Capitolo XXIII  Old Calabria di Norman Douglas (1910)

….ARRANCANDO VERSO LONGOBUCCO (storie di un viaggio)

 

 

 

....Dicono che la strada carrozzabile da San Demetrio ad Acri, dov' ero diretto, sia stata iniziata circa vent' anni fa. La si può seguire per un buon tratto oltre il Collegio Albanese, ma poi, bruscamente, finisce. Tuttavia, salendo ad Acri per il vecchio sentiero, se ne scoprono qua e là piccoli tratti coscienziosamente costruiti e già disseminati di erbacce, che s' interrompono all' improvviso com' erano incominciati, perdendosi nella sterpaglia. Per quanto pittoreschi, questi frammenti staccati non hanno, naturalmente, alcuna utilità.

Forse, un giorno o l' altro, la strada verrà completata - speriamo!, come dicono gli abitanti della regione quando parlano di qualcosa al di là di ogni ragionevole aspettativa. O forse no; e in tal caso - pazienza!, il che significa che si possono abbandonare le ultime speranze. Ben di rado si ha fretta quando si tratta di lavori di questo genere che non dipendono dallo Stato.

Sarebbe interessante scoprire la storia segreta di queste imprese abortite. Ho spesso cercato di farlo, ma invano. È impossibile per un estraneo penetrare nella giungla di squallido mistero e d' intrighi che le circonda. Soltanto questo sono riuscito a sapere: che il contratto originale era basato sui salari correnti a quell' epoca e che, essendo pressoché raddoppiato il costo della mano d' opera a seguito della «scoperta» dell' America, nessuno aveva voluto eseguire il lavoro alle vecchie condizioni. Questo è abbastanza comprensibile. Ma perché all' inizio i lavori abbiano proceduto tanto lentamente e perché non si possa stendere un nuovo contratto rimane un mistero. Gli abitanti se la prendono coll' appaltatore, che dà la colpa all' ingegnere, il quale a sua volta scarica ogni responsabilità sull' amministrazione lenta e corrotta di Cosenza. Secondo me, si sono messi d' accordo tutti e tre per spartirsi il malloppo. E frattanto, tutti hanno legittimi motivi di querela: sono inevitabilmente in corso sei o sette cause legali che promettono di durare all' infinito, dato che alcuni documenti importanti sono stati perduti o rubati e che una buona metà dei direttamente interessati è ormai passata a miglior vita. Nessuno sa come andrà a finire: bisognerebbe che qualcuno, animato da sani sentimenti patriottici, si facesse avanti per ungere le ruote al punto giusto.

Ma anche in questo caso, se l' eventuale benefattore fosse di Acri incontrerebbe probabilmente l' opposizione di quelli di San Demetrio - e viceversa, poichè non corre certo buon sangue fra i due comuni. È veramente stupefacente constatare con quanta velenosa animosità feudale essi si guardino. L' Italia unita non significa nulla per questa gente, il cui concetto di vita nazionale e pubblica è quello di un gallo nel suo pollaio. Anche nei paesi più piccoli si trovano uomini intelligenti e di ampie vedute - bottegai, professionisti o proprietari terrieri - ma ben di rado essi sono membri del municipio. La carriera municipale offre bensì possibilità di far denaro; ma si tratta di un altro genere di carriera che esige requisiti diversi.

I vagabondi come me non si trovano certo a disagio a dover seguire la veneranda e più breve mulattiera che unisce i due luoghi. Ripida all' inizio, prende poi a serpeggiare fra vallette ombrose di castagni e di querce, offrendo inattese e fugaci visioni della lontana Tarsia e più su, attraverso una radura sulla destra, dell' antica cittadella di Bisignano, appollaiata sulla sua roccia.

 

 

Giunsi ad Acri dopo circa due ore e mezzo di cammino. Sorge in posizione che definirei «teatrale» e vanta un albergo. Tuttavia, il suo proprietario essendomi stato descritto come «il peggior brigante della Sila», preferii cercar ristoro in una piccola trattoria, dove l' ostessa mi cucinò un ottimo pasto e mi servì un vino migliore di quanto non avessi bevuto da lungo tempo. Nelle classi superiori, le donne di questa zona sono in genere più intelligenti e civilizzate di quelle della provincia napoletana: ciò è dovuto sia alla loro severa educazione patriarcale, sia al fatto di possedere dei mariti dotati di un sano buon senso.

Riposato e rinfrancato, uscì a gironzolare per le strade. Mi sarebbe piaciuto trascorrere un paio di settimane in un posto come quello, sconosciuto anche dalla maggioranza degl' italiani, ma il caldo e la cattiva cucina avevano incominciato a incidere sfavorevolmente sul mio fisico e decisi quindi di portarmi in zone più fresche senza indugiare oltre. La prospettiva di buscarmi un colpo di calore e di rimanere immobilizzato ad Acri, ove mi avrebbero tolto le ultime gocce di sangue con un copioso salasso, reliquia delle pratiche mediche ispano-arabe e rimedio principe per ogni malattia, non mi sembrava affatto attraente. Acri è una grossa borgata,la cui aria di prosperità contrasta coll' indolente decadenza di San Demetrio; vi fiorisce l' allevamento del baco da seta e l' emigrazione in America è così intensa che quasi tutti gli uomini ai quali rivolsi la parola mi risposero in inglese. Nuove case sorgono in tutte le direzioni e il luogo è famoso per i suoi ricchi cittadini.

Ma questi ricchi sono piuttosto perplessi. Secondo un' autorità locale, di cui non ricordo il nome, l' esistenza di tante fucine e botteghe di fabbri nel paese lo indicherebbe come quello in cui i troppo sensibili sibariti bandirono i loro lavoratori di metalli ed altri artigiani troppo rumorosi. Oggi, i milionari gradirebbero considerarsi sibariti d' origine, ma non ritengono dignitoso accettare come antenati dei miserabili proscritti.

Non è davvero il caso che si allarmino, poichè Acri, come ha dimostrato Forbiger, è l' antica Acherontia. Delle furiose acque del fiume Acheronte, il Mocone o Mucone di oggi, ho potuto godere una splendida vista da un punto della cittadina.

 

 

Una faticosa arrampicata di due ore, sotto il sole cocente, mi portò alla Croce Greca, a 1185 metri sul livello del mare. Può darsi che, anticamente, sorgesse lassù una struttura in pietra; oggi non rimane che un minuscolo crocifisso di legno sul ciglio della strada, il quale segna, tuttavia, un importante punto geografico: il confine tra la Sila «Greca», che mi accingevo a lasciare, e la Sila Grande, la più vasta regione centrale. Tirando una linea immaginaria da Rogliano (nei pressi di Cosenza) a Crotone, si andrebbe a toccare lo spartiacque fra Sila Grande e Sila Piccola, la più occidentale delle tre zone. Vengono poi Catanzaro e la valle del Corace, il punto più stretto della penisola, e infine le alture di Serra e Aspromonte, la vera «Italia» antica, che continua fino a Reggio.

Scomparsi i nobili boschi di castagni che avevo trovato lungo la salita, il terreno era nudo e brullo. Tuttavia, fino a poco prima doveva essere stato folto di alberi, poiché era ancora visibile il ricco terriccio scuro che le piogge non avevano avuto il tempo di spazzar via. Una strada carrozzabile passa per la Croce Greca, unendo Acri a San Giovanni, la capitale della Sila Grande, e a Cosenza.

Mi ci volle un' altra lunga ora di marcia, sempre in salita, per raggiungere uno spazioso prato con alcune piccole costruzioni. Il luogo si chiama Verace e giace sullo spartiacque fra la valle superiore del Crati e lo Ionio. D' ora in poi, il mio cammino sarebbe stato in discesa, lungo il fiume Trionto (l' antico Traeis) fino a Longobucco. L' altitudine e il declinare del giorno rendevano l' aria più fresca; chiacchierando e amoreggiando allegramente, i giovani contadini falciavano il fieno fra un giocando tintinnio di campanacci.

Dopo avere scambiato qualche parola con questa gente cordiale, mi portai al punto in cui il giovane Traeis sgorga dai cavernosi serbatoi della terra. Bevvi un sorso di quell' onda fresca e petulante, ricordando il lontano giorno in cui una catastrofe irreparabile sopraffece la civiltà europea: fu infatti nei pressi dell' estuario del Traeis che venne combattuta la battaglia fra trecentomila sibariti (mi rifiuto di prestar fede a questa cifra) e gli uomini di Crotone, guidati dal loro campione Milo - battaglia che portò alla distruzione di Sibari e, indirettamente, della cultura ellenica in tutta l' Italia. Ciò avvenne in quello stesso fatidico anno 510 che vide l' espulsione dei Tarquini da Roma e dei Pisistrati da Atene.

Cominciavano a vedersi alcuni pini, gli alberi caratteristici della Sila. Passando da Verace avevo già osservato, sulla sinistra, un' altra montagna verdeggiante che la carta geografica indica col nome di Paleparto e ai cui piedi scorre il Trionto. La pronuncia locale di questo nome è però Palépite, e non posso fare a meno di chiedermi se, in questo caso, non ci troviamo davanti a un autentico antico nome greco, perpetuato dagli abitanti e riferentesi a questa copertura di venerandi pini - nome che i cartografi, spesso ignoranti e approssimativi, hanno inconsciamente mascherato. (Devo tuttavia far notare che alcune antiche carte portano il nome Paleparto.) Sarebbe interessante e istruttivo disegnare una carta d' Italia che riveli tutte le città e i luoghi erroneamente denominati a seguito di sbagliate interpretazioni etimologiche o di iscrizioni falsificate, oltre a quelli volutamente alterati per soddisfare princìpi di patriottismo locale. L' intero paese è pieno di queste invenzioni di litterati che risalgono per la maggior parte all' entusiasta ma scarsamente disciplinato Cinquecento.

Il piccolo triangolo geografico compreso fra Cosenza, Longobucco e San Demetrio che stavo attraversando è uno degli angoli meno conosciuti d' Italia e pieno di oscuri ricordi ellenici. Il fiumicello Calamo scorre nella valle che avevo risalito da Acri, e presso le sue rive, poco fuori della città, si trova la fontana «Pompeio» presso la quale i briganti, ancora in tempi abbastanza recenti, solevano nascondersi in attesa che donne e bambini venissero ad attingere acqua per poi rapirli e chiederne il riscatto. Da tre o quattrocento metri di altezza avevo visto il Mucone o Acheronte, schiumeggiare rabbioso nella sua stretta valle. Questo fiume sorge fra due montagne chiamate «Fallistro» e «Li Tartari», indubbiamente nomi greci.

Sulle sue rive, in un punto imprecisato sopra Acri, si ergeva un tempo, secondo le minuziose ricerche di Lenormant, la città di Pandosia. Non so se, dopo la morte dello studioso, nuove ricerche siano riuscite a determinarne l' esatta ubicazione. Era una città «molto forte» e ricca, che raggiunse il culmine della sua prosperità nel quarto secolo prima di Cristo. Su alcune sue monete era raffigurato il dio Pan (assai appropriato, dati i dintorni silvani); altre recavano l' effigie della ninfa Pandosia col suo nome e quella del fiume Crati sotto le spoglie di un giovane pastore. Chi desideri conoscere la sua sconveniente leggenda potrà trovarla nelle pagine di Eliano o al capitolo 32 del 25° libro di Rodigino, che inizia: Quae sit brutorum affectio, ecc.(1). Non è questa la Grecia dell' epoca medievale bizantina, né tantomeno quella degli albanesi, bensì l' Ellade luminosa dei tempi in cui il mondo era giovane, quando questi ardenti colonizzatori salparono verso occidente per perpetuare i loro nomi e le loro leggende nel suolo straniero d' Italia.

Tristemente noto come torrente feroce e crudele, il Mucone merita ancor oggi la sua barbara fama. Mi dicono che le sue acque furibonde divorino una ventina di persone all' anno: mangia venti cristiani all' anno! Fa quindi concorrenza all' Amendolea nei presi di Reggio. Ma nessuna delle vittime ha mai raggiunto la celebrità di Alessandro il Molosso, re dell' Epiro, che perì sotto le mura di Pandosia nel 326 a.C. durante un attacco contro i lucani. L' oracolo di Dodona l' aveva avvertito di evitare le acque dell' Acheronte e la città di Pandosia ma, una volta messo piede in Italia, egli non badò più all' ammonimento, ritenendo si riferisse al fiume e alla città dello stesso nome in Tesprozia. Della sua morte nelle acque dell' Acheronte e dello scempio fatto dai lucani del suo corpo si legge nelle «Storie» di Tito Livio.

Il capriccio del caso ha voluto farci entrare in possesso di una corazza che, con ogni probabilità, fu quella indossata dall' antico re nella battaglia. Venne trovata nel 1820 e poi venduta al Museo Britannico, dove è possibile ammirarla ancor oggi sotto il nome di «Bronzo di Siris». Si tratta di un meraviglioso lavoro a sbalzo, nello stile di Lisippo, raffigurante il combattimento fra Aiace e le Amazzoni.

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(1) - Bruttii a brutis moribus: così dicono alcuni scrittori maligni. Strabone e Orazio estendono tale accusa a tutti i calabri. Per quanto riguarda Pandosia, numerosi studiosi, come il vecchio Prospero Parisi e Luigi Maria Greco, la collocherebbero nel punto in cui sorge oggi il villaggio di Mendicino sul fiume Merenzata, chiamato Arconte (Acheronte?) nel Medioevo. L' identità del Trionto con l' antico Traeis non sarebbe quindi sicuramente provata. Nel suo bel libriccino «Cose di Sibari», (1845), Marincola Pistoia dichiara che ben quattro fiumi potrebbero essere identificati con l' antico Traeis: il Lipuda, il Colognati, il Trionto, il Fiuminicà.